di Pietro Spataro
da Strisciarossa del 15 Maggio 2o2o
Pietro Spataro, giornalista e scrittore, è stato vicedirettore dell’Unità dove ha lavorato, dall’età di 22 anni, dal 1978 fino alla chiusura del 2014. Ha scritto due libri di poesia e uno su Roma senza capitale (con Roberto Morassut).
Diciamo la verità: alcuni pezzi della maggioranza hanno fatto di tutto negli ultimi giorni per dare una mano a chi vuole mandare all’aria il governo. Con quale obiettivo non si è ancora capito, se non totalizzare più punti al solito gioco delle bandierine personali. Per fortuna – superando le trappole disseminate lungo una trattativa estenuante sempre sull’orlo della rottura – il governo è riuscito non solo a salvare, per ora, la pelle, ma anche ad approvare un decreto che mobilita una quantità di risorse mai vista nella storia recente del nostro Paese. Il cosiddetto decreto Rilancio stanzia infatti fondi per 55 miliardi che, sommati ai 25 del Cura Italia, costituiscono un robusto intervento di Stato a favore dei lavoratori, dei senza lavoro, delle imprese e del sistema sanitario. Non solo. Superando le resistenze dell’ala destra del M5S si è riusciti anche a far passare la norma che regolarizza circa 200 mila immigrati che lavorano nei campi o nelle nostre case come colf e badanti. Insomma, nessuna esultanza ma, per come si erano messe le cose, poteva finire molto peggio.
Il senso della campagna contro il governo. Ora, è del tutto evidente che andando a spulciare tra i provvedimenti decisi qualcosa che fa storcere il naso si può anche trovare. Tutto si può fare meglio, figurarsi: si tratta pur sempre di un compromesso. Ma fa impressione – come ha fatto impressione negli ultimi mesi la campagna politico-mediatica contro il governo – il giudizio espresso da quasi tutti i commentatori: il decreto non va, solo sussidi, mancette e contributi a pioggia. Lo scrivono gli stessi che fino a ieri accusavano il governo di non essere in grado di aiutare il Paese che soffre, i cittadini che non arrivano alla fine del mese, i commercianti che stanno chiusi da due mesi, gli imprenditori che hanno vista ridotta drasticamente la produzione. Viene il sospetto che si stia suonando sempre la stessa musica nella speranza di portare qualcun altro sul podio di direttore d’orchestra. C’è infatti chi spera che quando arriveranno i consistenti fondi europei (stiamo parlando di più di cento miliardi di euro) un nuovo direttore possa cambiare le note sullo spartito (o meglio: sulla spartizione) per intonare un inno alla gioia.
L’accordo che ha evitato una spaccatura pericolosa nel governo fa tirare quindi un sospiro di sollievo. Soprattutto agli italiani che, travolti dalla crisi, assistono increduli alle scene di guerriglia che avvengono nei dintorni di Palazzo Chigi. Ma attenzione: quell’accordo non è un punto di arrivo. Siamo ancora dentro una fase molto complicata. Anzi, proprio quelle tensioni che hanno rischiato di far saltare tutto hanno lasciato qualche livido sul corpo di una maggioranza ancora incompiuta. Paradossalmente, per il governo questo passaggio è quasi uno spartiacque: o si supera il guado e si passa definitivamente sull’altra sponda o il rischio di affondare è altissimo. Insomma non si può continuare a stare fermi in mezzo ai colpi del fuoco nemico e di quello amico.
Non bastano più mezzi accordi e fragili compromessi. E dunque: che fare? Servono due scelte chiare, senza ambiguità, senza zone d’ombra. La prima riguarda la maggioranza che sostiene il governo. La seconda, oltre quella, chiama anche e soprattutto il centrosinistra se vuole avere un ruolo nel futuro di questo Paese.
La prima. Bisogna essere consapevoli che non ci sono mezzi accordi che possano tenere in piedi a lungo una maggioranza senza provocare insidiosi processi di logoramento. In questa situazione di emergenza sarebbe un disastro. Per questo, credo che solo un nuovo accordo di governo possa evitare il galleggiamento. Un accordo di pochi punti, non il libro dei sogni che di solito accompagna i patti di coalizione. Lo scenario è completamente cambiato rispetto a settembre 2019 quando, messo all’angolo Matteo Salvini, nacque il governo rossogiallo di Conte. Per dirla in modo più chiaro: è il momento che i Cinque stelle decidano definitivamente chi sono e da che parte stare: a sinistra o a destra. Ballare di qui e di là non è più consentito e la regolarizzazione degli immigrati lo ha ampiamente dimostrato. Non è difficile capire quali siano i punti dirimenti da qui al 2023, anno di scadenza regolare della legislatura, su cui fondare un nuovo patto di governo. Ne indico alcuni: una chiara linea europeista (basta balletti sul Mes, per esempio), il rafforzamento del welfare, più investimenti nella sanità e nella ricerca, interventi per il lavoro, cancellazione dei decreti Salvini sugli immigrati, digitalizzazione del Paese.
La seconda scelta da compiere si lega alla prima e coinvolge sia tutta la maggioranza sia, soprattutto, il centrosinistra. Riguarda il futuro di questo Paese nei prossimi dieci anni. Finita l’emergenza bisognerà gettare le basi di un nuovo modello di sviluppo. Sin dall’inizio della pandemia che ha sconvolto il nostro modo di vivere abbiamo detto che il dopo non dovrà essere come il prima. E questo fondamentalmente perché il nostro problema vero è proprio il prima. Il nostro problema qui in Italia ma anche in Europa.
Abbiamo seguito, infatti, un modello che faceva acqua da tutte le parti e invece di cercare di cambiarlo abbiamo messo qualche toppa nei buchi. Un modello in cui una finanziarizzazione esasperata dell’economia ci ha reso succubi di alcuni santuari che muovono capitali con un clic e decidono il destino di interi Paesi. Un modello che ha allargato la forbice delle disuguaglianze: tra Paesi, all’interno dei Paesi e dentro le aziende tra il lavoratore e il manager che oggi guadagna oltre cento volte di più del suo dipendente, ma anche tra uomini e donne che svolgono le stesse mansioni. Un modello che ha premiato il mercato e quindi il privato a discapito del pubblico depredando i beni comuni: la sanità che ha subìto tagli mostruosi e pericolosi processi di aziendalizzazione, la scuola che non regge più la sfida con i tempi nuovi, la ricerca troppo spesso lasciata nelle mani delle grandi case farmaceutiche. Un modello che ha favorito le energie inquinanti a discapito di quelle green e che ha riempito le strade delle nostre città e le nostre autostrade di una quantità di mezzi di trasporto privati che hanno bruciato le nostre riserve di ossigeno. Si potrebbe continuare, ma credo sia chiaro: il Covid-19 con la sua furia distruttrice ha messo in evidenza tutti i limiti insostenibili del nostro modello di sviluppo.
La vera sfida per una nuova sinistra. Ora, questa dovrebbe essere la grande sfida dei prossimi decenni. Ma se il Pd e tutto il centrosinistra non si misurano con questo grande tema di rifondazione del modello Italia che ci stanno a fare? Questo non è il tempo di fare solo i pur legittimi compromessi di governo. E’ il tempo dei pensieri lunghi, come diceva Enrico Berlinguer. Ma per avere pensieri lunghi bisogna capire e pensare, e bisogna trovare i luoghi e i momenti per poter capire e pensare. Non bastano un tweet al momento giusto o un post su Facebook o un’intervista volante al giornale che la chiede.
La sinistra deve capire che questa è la sua mission e non solo curare il senso di responsabilità che tiene in piedi i governi. Un partito di sinistra non può – come troppo spesso è accaduto – essere semplicemente governista e al governismo sacrificare identità e progetto. Certo che deve sapere stare al governo dentro una coalizione, e farlo nel miglior modo possibile ottenendo risultati tangibili. Ma deve anche e soprattutto avere un suo pensiero autonomo che non si risolve tutto in un voto in consiglio dei ministri o nell’accettazione di qualunque compromesso, anche quelli molto al ribasso. Deve esserci una linea di confine oltre la quale non si può andare. Nicola Zingaretti e Roberto Speranza, che sono oggi i leader di questa sinistra, lo sanno bene. E’ ora però che questa consapevolezza si traduca in una nuova idea di sinistra e che essa sia messa in pratica aprendo le porte a chi ha idee, passioni e coraggio da portare e non posti o prebende da chiedere. In questo passaggio la sinistra si gioca davvero il proprio futuro. E non può perdere la partita: rischierebbe di non poterne giocare altre per lungo tempo.