di Massimo D’Alema
Trascrizione di Giovanna Ponti
Tratto da conferenza di ArticoloUno su youtube del 12 maggio 2020
” Io penso che questa crisi prodotta dal coronavirus non è il cigno nero che cambia la prospettiva, ma accentua, in modo per certi aspetti rovinoso, tendenze che erano già in atto.
E’ evidente che la situazione ci mette di fronte a due diverse opzioni: o la crisi spingerà indietro gli equilibri internazionali e la situazione sociale oppure potrà essere colta come l’occasione di un cambiamento necessario.
Anche nel 2008 si disse: “Nulla sarà come prima”, invece poi si sono messe all’opera le forze della restaurazione. Questo rischio ci può essere anche ora, come dopo cercherò di mettere in evidenza, ma questa crisi ha una natura diversa, intanto per la sua inedita dimensione antropologica: non è solo una crisi finanziaria, ma entra nella vita delle persone. Intanto ci sono molti morti e comunque è vissuta come una minaccia per ciascuno di noi, cambia il lavoro, le relazioni sociali, insomma ha una dimensione antropologica che tocca la condizione esistenziale di miliardi di esseri umani.
Non è paragonabile al 2008 anche perché oggi la crisi economica impatta direttamente l’economia reale. E’ una grande crisi contemporaneamente della domanda e dell’offerta, con il rischio di produrre danni strutturali non riparabili, cioè di tagliare alcune catene dei valori. La crisi impone dei cambiamenti. Ci sono grandi beni comuni, a partire dalla salute delle persone, che si impongono come centrali nella vita politica e nella vita economica. La tutela della salute delle persone non è un lusso che ci si può concedere, diciamo dopo la crescita, ma diventa una precondizione dell’attività economica. Questo cambia la gerarchia dei valori. Il welfare diventa elemento fondamentale di una strategia di ripresa.
Investire sui diritti sociali, sulla salute, sui sistemi sanitari sarà uno dei volani della ripresa e questo è un cambiamento sostanziale.
Il ruolo del pubblico, dello Stato diventa fondamentale.
Il ruolo pubblico fu fondamentale anche dopo la crisi finanziaria del 2008 perché si uscì dalla crisi attraverso un enorme trasferimento di risorse pubbliche alla finanza privata. Questa fu l’operazione.
Anche oggi si vogliono i soldi dello Stato, ma nello stesso tempo si apre un grande dibattito sul fatto che i soldi dello Stato non devono pesare sul governo delle imprese. Occorre stare attenti perché la tendenza a considerare utile il pubblico quando paga, ma purché non tocchi gli equilibri di potere e gli assetti sociali consolidati, c’è.
Si può anche usare uno Stato Croce Rossa purché non metta mano nei modelli di sviluppo che si sono sviluppati fino ad oggi , ma per me questo non sarebbe accettabile.
Vorrei ora gettare uno sguardo al bivio in cui ci troviamo nelle relazioni internazionali. La crisi richiama la necessità di un rafforzamento degli strumenti, delle regole e delle politiche di cooperazione. Indubbiamente l’impatto della pandemia è stato aggravato dal clima di scarsa cooperazione internazionale, dalla debolezza degli organismi internazionali, però dall’altra parte noi rischiamo di uscire dalla crisi con un aggravamento di tutte le tensioni. Io penso che il ruolo dell’Europa può essere fondamentale, ma onestamente in un quadro di accentuato conflitto tra le due grandi potenze, Stati Uniti e la Cina, non so che cosa l’Europa possa ragionevolmente fare. Già il partito anti-cinese è all’opera anche in Europa, in un clima di nuova guerra fredda. Ho molti dubbi sul protagonismo europeo perché purtroppo noi sappiamo che quando si apre un dissidio con gli americani si disfa anche l’unità Europea. Una parte della destra americana è ormai attratta da uno scenario di una nuova guerra fredda. Io considero che questo sarebbe catastrofico e penso che in realtà quella che si apre è una fase cruciale. In questi mesi che abbiamo di fronte, che comprendono le elezioni americane di novembre, o si forma una coalizione democratica dell’Occidente, sulle due sponde dell’Atlantico, in grado di avviare un dialogo con la Cina, a partire dai nostri valori e in modo costruttivo, oppure da questa crisi temo si esca in un modo confuso di deglobalizzazione che però ci prospetta conflitti, asperità, scenari che noi pensavamo superati e che a mio giudizio porterebbero il mondo indietro.
Io avverto fortissima questa preoccupazione e penso che contro questo rischio bisognerebbe agire con energia da parte di chi ha le responsabilità politiche e di chi ha la possibilità di farlo.”
“La Cina è un grande protagonista dello scenario politico, economico e mondiale imprescindibile e soprattutto l’Occidente anglosassone fatica a capirlo. L’ascesa economica della Cina negli ultimi trent’anni è stata sempre sottovalutata: sembrava che dovesse bloccarsi ogni momento. Noi siamo cresciuti con l’idea che potesse esserci un modello unico e l’idea che potesse esserci un modello diverso che aveva successo, non rientrava negli schemi del pensiero unico dominante.
Nel frattempo la Cina che l’autorevolissimo Economist dava per finita nel 1990 , sta diventando la più grande potenza economica del mondo.
E’ uscito un bellissimo libro di Branco Milanovic sul capitalismo dove l’autore mette a confronto il modello del capitalismo liberale meritocratico con il modello del capitalismo di Stato. Nel secondo l’equilibrio fra Stato e mercato è diverso. Mentre noi abbiamo vissuto un capitalismo, che come scrisse in un profetico libro Foucault alla fine degli anni settanta, in cui è il mercato che ha regolato lo Stato, loro hanno mantenuto, con una forte impronta autoritaria, che lo Stato avesse la capacità di guida dei processi economici. Quel modello, considerato anomalo perdente prossimo al crash, ha funzionato e ha consentito alla Cina di avere una crescita straordinaria che probabilmente non ha uguali nella storia della umanità. La Cina alla fine degli anni ottanta rappresentava il 2% del Pil del mondo, nel frattempo il Pil è cresciuto quattro volte, ed ora la Cina rappresenta il 20 % . E’ cresciuta da 2 a 80 ed è una cosa che non ha precedenti.
Una parte importante della cultura americana considera la Cina come una variante del modello sovietico. Questa secondo me è una lettura superficiale perché non tiene conto della storia cinese e di quanto il marxismo cinese si sia ibridato con il confucianesimo, con la cultura cinese. Di fatto il sistema cinese ha delle flessibilità che il modello sovietico non aveva. Il modello sovietico era anelastico e quindi a un certo punto si è spezzato.
Io penso che con la Cina dovremo fare i conti.
Certo la Cina è uno dei paesi più esposti ai rischi di una parziale deglobalizzazione perché tutta la sua economia è stata fortemente proiettata verso le esportazioni, ma anche qui, io penso che questa crisi non ha vincitori, ma penso che la Cina è il minor perdente. Alcuni pensano invece che la Cina pagherà più di tutti il rallentamento del commercio mondiale. Io penso che queste analisi non tengano conto di ciò che sta cambiando in Cina negli ultimi quattro o cinque anni, e cioè del fatto che sotto la guida di Xi Jinping sta avvenendo un cambiamento del modello cinese. Il partito dello sviluppo industriale e del modello esportazioni ha subito un netto ridimensionamento. La Cina ha investito molto di più sulla innovazione e sulla ricerca, anziché soltanto sulla produzione di beni a basso valore aggiunto. La Cina è stata la fabbrica del mondo, ma oggi non è più così. Una parte di queste produzioni si sono trasferite in altri Paesi asiatici, mentre i cinesi hanno investito sull’innovazione (la Cina ha superato gli USA in produzione di brevetti). E poi hanno investito sul recupero ambientale, anche per avere consenso interno e quindi meno inquinamento, hanno puntato sulla ricerca e hanno aumentato i salari. Ciò ha consentito al mercato interno di diventare un volano più importante del passato nel sostegno dell’economia e della crescita cinese.
Io penso che queste novità non siano comprese da chi si occupa di studiare la Cina.
Io penso che la strategia del confronto, della sfida dei dazi, delle accuse alla Cina non può che essere rovinosa. In questi giorni molti hanno ricordato la famosa pistola fumante che portò alla guerra in Iraq, ma io che sono più vecchio ricordo anche l’incidente del golfo del Tonchino, anche quello non era vero, ma portò alla guerra del Vietnam. Ogni volta che gli americani se ne escono con queste teorie di complotto io tremo perché normalmente questo è stato il preludio alle guerre e normalmente queste guerre hanno fatto del male al mondo occidentale democratico.
Ricostruire il clima della guerra fredda non è nel nostro interesse. L’Europa sarebbe schiacciata in un simile scenario, ma non è neanche interesse dell’intero Occidente promuoverlo perché se il sistema sovietico nella guerra fredda crollò, io ho dei dubbi che la Cina possa fare la stessa fine, temo che in uno scenario di questo tipo si finirebbe per spingere la Russia verso la Cina. Mettere insieme la capacità industriale e innovativa della Cina con le risorse materiali e l’apparato militare russo rischierebbe di configurare una tale potenza da mettere in dubbio l’ esito di questo secondo tempo della guerra fredda.
Non abbiamo nessun interesse ad andare in quella direzione.
Naturalmente le democrazie devono aprire un confronto con la Cina e qui fare valere i nostri valori. Non mi arrendo all’idea che i sistemi autoritari funzionino meglio della democrazia, anche se la democrazia è malata (non produce più classe dirigente, non produce stabilità, non produce più progetti), ma questo è un altro tema che andrebbe però affrontato a parte.
Devo dire che l’Europa è l’interlocutore che ha ottenuto i maggiori risultati nel dialogo con la Cina. Faccio un esempio. La Cina ha dovuto fare una nuova legge di tutela degli investimenti stranieri in Cina, anche per le pressioni europee, nella quale per la prima volta le compagnie straniere possono operare in Cina anche senza l’obbligo che i cinesi abbiano la maggioranza nei consigli di amministrazione.
Noi dobbiamo aprire un dialogo con la Cina in cui dobbiamo cercare di imporre una parità di condizioni, ma senza demonizzazioni.
Io ritengo che uno degli strumenti di questa nuova guerra fredda è una guerra commerciale che si conduce sulla base di un argomento sicuritario. “Arriva il 5G cinese e Xi Jinping ascolta le nostre conversazioni”, una sciocchezza. A parte il fatto che la sovranità digitale di uno Stato non esiste perché questa sovranità ce l’hanno quelle grandi corporations che controllano questi dati. Nessuno Stato è sovrano da questo punto di vista. Io dubito che rinunciare ad una tecnologia che farebbe fare un salto in avanti al nostro sistema di comunicazioni e di servizi sia una forma efficace.
La mia opinione è che con la Cina si deve avere a che fare, che la Cina non è l’impero del male, certamente ha un sistema autoritario e la tragedia di questo sistema autoritario lo si è visto nella vicenda del coronavirus perché è chiaro il ritardato allarme è il frutto della mancanza di libertà. E’ anche vero che la società cinese è molto complessa e le spinte interne ci sono, c’è una parte della società cinese che comincia a sentire il peso dell’autoritarismo che ci sono in quel sistema. Un Occidente che tenesse aperto con la Cina un dialogo su diritti umani, sulle libertà sarebbe molto più insidioso per loro che non l’ Occidente delle guerre commerciali che rafforza il nazionalismo cinese. L’idea trumpiana del confronto con la Cina, anche per togliersi dalle spalle la cattiva gestione della pandemia, scaricando la colpa sugli untori cinesi mi sembra veramente uno dei momenti più bassi della leadership occidentale.
Non so se l’Europa sarà in grado di svolgere un ruolo in questo senso.
Io non potrò mai dimenticare che durante la crisi del Libano per ottenere una bella risoluzione unitaria del Consiglio europeo dovetti andare a Washington a cena con Condoleezza Rice per trovare un accordo, altrimenti una risoluzione sul Libano il Consiglio europeo non l’avrebbe fatta.
In quella occasione feci una battutaccia come quelle che mi vengono e a Condoleezza Rice dissi: “Ho capito cosa è la globalizzazione che per avere una risoluzione del Consiglio europeo devo venire da te e per sapere cosa puoi fare tu devo passare da Gerusalemme”.
A parte questo noi sappiamo che l’Europa fatica moltissimo ad affermarsi come grande forza geopolitica perché se non va d’accordo con gli americani c’è un pezzo dell’Europa che non ci sta. Io credo comunque che di qui a novembre sia importante che l’Europa faccia capire che non è disposta a seguire Trump su quella strada. Questo può aiutare anche a un esito positivo delle elezioni americane. I Democratici potrebbero portare il confronto con la Cina non fondato sullo scontro nazionalistico e di potenza, ma su un terreno diverso e più produttivo.”